«Chi lascia una relazione odeporica, anche se non viaggia per diporto, può, solitamente, essere assimilato a chi lo fa» (Scaramellini 1985)

mercoledì 29 giugno 2016

MELZI D’ERIL, Francesco

(Milano 1753 - ivi 1816) politico. Tra il 1784-86 fu in Spagna, dove fu anche ospite di Paolo Greppi: su questo viaggio ha lasciato un minuzioso diario e due quaderni di appunti. Doveva proseguire per Lisbona e Parigi, ma non è chiaro se lo abbia fatto. Un appunto del pittore G. Bossi si riferisce a un suo soggiorno a Parigi (forse 1786-87) durante il quale fu in stretto contatto con V. Alfieri. Nel 1787 fu in Inghilterra, che vide come un modello economico, politico e Sociale, ed in Scozia. Le considerazioni più profonde su questa visita non si trovano nei diari di viaggio, ma in un quaderno intitolato Pensieri diversi pubblicato da Del Bianco nel 1999.
Tornato in Italia, nel 1795 fece un viaggio in Toscana.
Nel 1797 fu a Rastadt per partecipare con Napoleone ai trattati Francia-Austria. Nello stesso anno fu a Parigi, e di lì partì per la Spagna, dove soggiornò presso la sorella a Saragozza.
Nel 1801 tornò nuovamente a Parigi.
Nel 1802 fu nominato vice-presidente della Repubblica Italiana.
Si conservano numerosi diari, quaderni e lettere, in gran parte inediti.

DBI


Da DBI: Le considerazioni più profonde al riguardo si trovano non nei diari di viaggio, ma in un quaderno intitolato Pensieri diversi, pubblicato da Del Bianco nel 1999. Basterà citarne il passo sull’industria inglese che «cammina libera e sola, e perché libera conosce bene il suo cammino, e così bene che se ne apparta impunemente quando cerca nuovi paesi e nuove conquiste» (I «Pensieri diversi», p. 336), o quello sulla costituzione inglese lodata «perché ella è la sola forse delle moderne che abbia saputo conservare in gran parte la civile libertà base e principio d’ogni gran cosa umana» (ibid., p. 338).

APPIANI, Andrea

(Milano 1754 - ivi 1817) pittore. Nel 1791 compie un viaggio di nove mesi per studio a Parma, Bologna, Firenze e Roma.
Nominato ai comizi di Lione, nel 1801 si recò a Parigi ad assistere in qualità di membro dell'Istituto all'incoronazione di Napoleone, ricevendo accoglienze trionfali.

DBI

R. Soriga, Le società segrete, l'emigrazione politica, i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942, pp. 30, 48 s.; 

SILVA, Ercole

(Milano 1756 – Cinisello 1840), scrittore e architetto di giardini all’inglese. Viaggiò in Europa tra il 1783 e il 1786, e visitò l’Inghilterra nel 1786 dove apprezzò particolarmente il gusto inglese per i giardini che imitò in Italia. Scrisse un trattato Dell’arte de’ giardini inglesi (1801) nel quale ci sono riferimenti alla sua visita ai giardini di Stowe e Blenheim (pp. 200-201 nota 38). È andato invece perduto il resoconto di viaggio (cfr. Silva 2006, p. IX nota 15).

SAGRAMOSO, Michele Enrico

(Verona 1720 – Napoli 1791), cavaliere di Malta e diplomatico, accreditato presso tutte le corti europee e in contatto con i maggiori scienziati e letterati del suo tempo. 

Nel 1739 venne insignito della Croce di Malta e recatosi sull'isola prese servizio sulle galere dell'Ordine per cinque anni circa. Nel 1741 fu a Costantinopoli con l'Ambasciatore di Francia, il marchese di Castellane. Dopo sette mesi trascorsi a Costantinopoli, tornò a Malta, per poi ripartire per Spagna e Portogallo, soggiornando tre mesi a Lisbona.
Nel 1744 il Gran Maestro dell'Ordine lo inviò come ambasciatore in Russia, uno stato che frequenterà numerose volte nella sua vita.
Nel 1745 rientrò in Italia, e cominciò a scrivere le relazioni dei suoi viaggi. Nello stesso anno si arrampicò sul ghiacciaio del Talèfre sul Monte Bianco.
Dal 1746 fu impegnato in un Grand Tour europeo che lo portò a Monaco e Hannover, seguendo l'itinerario compiuto da suo padre nel 1726. Da Hannover si mosse poi per Amburgo e per la Danimarcam dove visitò Flensburg, Augustenborg, Neoburg, Belt e Copenhagen, dove assistette all'incoronazione del nuovo re Federico V. 
Nel 1747 riprese il viaggio verso la Svezia, dove visitò Stoccolma, Uppsala, le miniere di argento in Westmania, Solberg, attraversando Karlskrona, Ostrogozia e Uplandia. Frequentò tra gli altri anche Linneo.
Sagramoso progettò di continuare verso la Lapponia, ma l'esposizione al freddo gli provocò un grave problema agli occhi che lo tormenterà per tutta la vita, e dovette quindi desistere.
Ritornò quindi a Stoccolma dove fu ammesso all'Accademia di Scienze. 
Nel 1748, dopo un nuovo soggiorno a Uppsala per visitare la casa di Linneo, partì per la Russia, incaricato di una delicata missione diplomatica. Sagramoso rimase in Russia tra il maggio e il settembre 1748, e visitò San Pietroburgo e Kronstadt. 
Per il viaggio di ritorno, l'imperatrice Elisabetta gli mise a disposizione una nave da guerra che lo accompagnò a Kronstadt, da cui proseguì per Lubecca.
In Germania visitò numerose città, in attesa che gli arrivassero lettere dal padre che gli permettessero di proseguire il viaggio per Olanda e Inghilterra. Poiché queste non arrivarono, decise di portarsi a Strasburgo, e di qui in Svizzera dove restò circa un anno.
Nel 1750 poté infine raggiungere l'Olanda e le Fiandre, e da Dunkerque proseguì per l'Inghilterra dove restò un anno e mezzo circa, visitando anche le città universitarie, Oxford e Cambridge, dove divenne intimo del Principe di Galles Federico Luigi di Hannover.
Nel 1751 arrivò a Parigi, ed iniziò un itinerario delle città francsesi.
Il Grand Tour si concluse nel 1753 con il ritorno in Italia.
Dopo qualche tempo a Verona, fu inviato a Vienna per discutere alcune questioni relative all'Ordine di Malta (1754-55). 
Successivamente progettò un viaggio nel Levante, ma fu costretto a rinunciare a causa delle mutate condizioni del commercio mediterraneo.
Si trasferì quindi a Venezia, dove soggiornò per molti anni. Nel 1763 intraprese un viaggio per le città italiane, al termine del quale tornò a Verona. 
Nel 1769 fu a Malta, dove gli venne affidato l'incarico di rappresentare l'Ordine presso le principali corti europee. Andò pertanto in Francia (a Parigi assistette ad un esperimento sulla combustibilità dei diamanti in compagnia di Lavoisier e Diderot) e da qui continuò per l'Inghilterra (1772).
Continuò poi il tour delle corti europee andando in Polonia, Austria, Prussia, Russia (1772-73). 
Nel 1775, su consiglio di Garampi che lo aveva visto all'opera a Varsavia, fu inviato in Russia per svolgervi una missione per conto della Chiesa. Caterina di Russia non accettò le proposte della chiesa, ma confermò la sua amicizia per Sagramoso, che al termine della missione si rese a Pietroburgo (gennaio 1776) e poi a Varsavia (marzo 1776) e a Berlino. 
Tornato in Italia, Sagramoso fu insignito della dignità di Balì dell'Ordine di Malta. 
Nel 1777 fu a Vienna e poi a Malta. 
Del 1778 si stabilì a Napoli e cominciò un periodo di intensa attività diplomatica in Italia. 

Per le notizie biografiche:

Federico Chesi, Michele Enrico Sagramoso. Il carteggio, i viaggi, la massoneria, Verona: QuiEdit, 2012

A. Bertola, La Vita del Marchese M.E. Sagramoso (1793), che riporta stralci delle sue lettere dall’Inghilterra. 

Si vedano anche Riva 1961 e Luzzitelli 1987c, 

martedì 28 giugno 2016

PINDEMONTE, Ippolito

(Verona 1753 - ivi 1828) letterato. Viaggiò in Italia (1779) e Malta. Nel 1785 partì per un Grand Tour di quasi tre anni che lo portò in Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda, Boemia, Moravia e Austria. A Parigi assistette in compagnia di Vittorio Alfieri alla presa della Bastiglia.
Ispirati ai suoi viaggi sono il romanzo Abaritte. Storia verissima (1790) e il sermone I viaggi (1793). Dalla frequentazione dei giardini inglesi nacque la Dissertazione sui giardini inglesi e sul merito in ciò dell'Italia (1792), pubblicata in seguito insieme a testi di Mabil e Cesarotti in Operette di varj autori intorno ai giardini inglesi ossia moderni (1817).
Sui viaggi si conservano anche numerose lettere, alcune delle quali edite.

DBI

Edite solo in parte le Memorie intorno ad alcuni suoi viaggi (Verona, Biblioteca civica, Carteggi, 942, ff. 1-67): L. Sandri, I. P. in Inghilterra. Appunti di viaggio, in English miscellany. A symposium of history literature and the arts, ed. M. Praz, Roma 1950, pp. 243-263; E.M. Luzzitelli, Introduzione all’edizione dei diari dei viaggi d’I. P. in Europa (1788-1791) ed in Italia (1795-1796), Venezia 1987; Id., I. P. dalla loggia alla selva. Memorie e appunti dal viaggio in Europa (1788-1791), in Studi storici Luigi Simeoni, XL, (1990), pp. 133-171, e XLI (1991), pp. 311-349; G. Pizzamiglio, Note sul Viaggio poetico per la Svizzera di I. P., in Versants, 50, 2005, pp. 199-215; I. Caliaro - R. Rabboni, “A’ tuoi verdi anni…”. Sui viaggi e le memorie di Pindemonte, in Vie lombarde e venete. Circolazione e trasformazione dei saperi letterari nel Sette-Ottocento fra l’Italia settentrionale e l’Europa transalpina, a cura di H. Meter - F. Brugnolo, Berlin-Boston 2011, pp. 169-187. 
Sull’anglofilia pindemontiana: E.H. Thorne, English friends and influences in the life of I. P., in Italian studies, XXII, 1967, pp. 62-77; G. Folena, Anglismi e anglofilia del Pindemonte, in Lingua nostra, LII, 1991, 1, p. 10; A.-V. Sullam Calimani, I. P. e la lingua inglese, in Quaderni veneti, 34, 2001, pp. 179-198; S. Cappellari, P. e Alfieri nelle lettere di Byron e William Parsons, in I. P. e Vittorio Alfieri nella Verona del Settecento, cit., pp. 163-180; L. Massa, “The living lyre”. Echi di Thomas Gray nella lirica di I. P., in Le forme della poesia, a cura di R. Castellana - A. Baldini, Siena 2006, pp. 293-300; C. Viola - F. Forner, Due corrispondenze inglesi di I. P., in Bearers of a tradition. Studi in onore di Angelo Righetti, a cura di A.M. Babbi - S. Bigliazzi - G.P. Marchi, Verona 2010, pp. 181-196.

lunedì 27 giugno 2016

PACIAUDI, Paolo Maria

(Torino 1710 - Parma 1785) religioso, letterato. Nel 1762 svolse un viaggio a Parigi al seguito di monsignor Emilio Lante. A Parigi fu accolto nelle accademie pubbliche e presentato a Versailles.
Nel viaggio di ritorno si fermò in Lorena, dove fu accolto da re Stanislao Leszczynski, a Strasburgo, Besançon e a Ginevra.

DBI

venerdì 24 giugno 2016

ORTI MANARA, Girolamo

(Verona 1769 - Verona 1845) poeta e scrittore.


Una parte sostanziosa della sua produzione è inoltre costituita da relazioni di viaggi compiuti in Italia e in Europa, a partire dall’Itinerario scientifico di varie parti d’Europa (I-II, Verona 1806; II ed. accr. e corretta, San Pietroburgo [ma Verona] 1807), all’interno del quale propose un dettagliato resoconto, con annotazioni e digressioni sia di carattere scientifico-naturalistico sia di contenuto artistico-letterario, dei suoi spostamenti in Germania, in Svizzera e in città e località italiane (nel tomo I si trovano l’Itinerario di Germania, intrapreso nel 1798, e l’Itinerario di Elvezia; nel tomo II l’Itinerario d’Italia, con pagine incentrate, tra l’altro, su Roma e Napoli, e in conclusione la Classificazione linneana di alcune singolari Piante…).
(...)
Ripresi i viaggi e gli itinerari a scopi scientifici e culturali, dapprima pubblicò le Lettere di un recente viaggio in Francia, Inghilterra, Scozia, Olanda ed una parte della Germania (ibid. 1819), raccolta di 34 missive (non datate) nelle quali indugiò, tra l’altro, in digressioni di carattere letterario (nella X, ad es., si soffermò sul genere tragico e in particolare su Vittorio Alfieri; nella XIV sulle traduzioni omeriche di Cesarotti e di Vincenzo Monti; nella XX su Torquato Tasso, sulle caratteristiche della lingua letteraria e su alcuni autori della letteratura inglese). In secondo luogo fece uscire il Viaggio alle due Sicilie ossia Il giovine antiquario (ibid. 1825).
Nell’opera, suddivisa in ‘parti’ e ‘articoli’, fornì una particolareggiata descrizione del viaggio nel Regno delle Due Sicilie compiuto insieme con il figlio Giovanni Girolamo (nato nel 1803 dal matrimonio con la marchesa Rosa Canossa e morto nel 1858, precoce studioso di antiquaria nonché futuro animatore del Poligrafo dal 1830 e podestà di Verona dal 1838), punteggiandola sia delle consuete annotazioni relative al contesto paesaggistico-naturalistico e al patrimonio artistico-archeologico, sia di osservazioni sui costumi e le usanze proprie dei luoghi visitati.
(...) la Raccolta accresciuta di viaggi (offerta agli sposi Marianna Saibante e Francesco Giusti: I-II, Verona 1834, in cui riunì l’Itinerario scientifico, le Lettere di un recente viaggio in Francia, Inghilterra, Scozia, Olanda ed una parte della Germania e il Viaggio alle due Sicilie).

MASCHERONI, Lorenzo

(Castagneta BG 1750 - Parigi 1800) religioso e matematico.


(...) Nel 1791 il M. compì un lungo viaggio in Italia fino a Napoli, tra l’estate e l’autunno, in compagnia di Mariano Fontana, G. Mangili e C. Baldinotti. Da Pavia (6 luglio) passarono a Piacenza, Parma, Modena per fermarsi a Bologna, dove sostarono per visitare l’Istituto delle scienze (Fontana era introdotto nell’ambiente bolognese). Proseguirono poi per Faenza, Rimini, Pesaro, Fano, le Marche e l’Abruzzo; il 30 luglio erano a Teramo, da dove, via Sulmona e Castel di Sangro, giunsero a Napoli, dove compirono un’ascensione sul Vesuvio (agosto-settembre). Il ritorno fu più diretto: Roma, Firenze, Pavia.
(...)
Il M. collaborò anche al progetto di estensione ai territori italiani del sistema metrico-decimale di pesi e misure. Per la definitiva approvazione del sistema nel settembre del 1798 fu inviato a Parigi, dove ebbe modo di frequentare l’Institut, matematici come G.L. Lagrange e P.-S. de Laplace, nonché diversi scienziati europei convocati per il sistema metrico.

M. Pacati, Da Pavia a Napoli: appunti di viaggio (1791). Descrizione del manoscritto, in Bergomum, LXXXVI (1991), 2, pp. 193-227 (f. monografico dedicato al M.); 

MARSILI, Giovanni

(Pontebba UD 1727 - Padova 1795) botanico



Dopo la laurea, spinto anche da Gennari, il M. si recò dapprima a Bologna e poi a Firenze, dove approfondì gli studi con il famoso medico e letterato Antonio Cocchi, insegnante di anatomia, apprezzato per la lingua e lo stile. Oltre a soddisfare i suoi interessi letterari, il soggiorno a Firenze fu anche l’occasione perché si rivolgesse agli studi di botanica. È verosimile che sia stato Cocchi, che il M. considerava suo amico e maestro, a indurlo a intraprendere un lungo viaggio di istruzione attraverso le principali città e accademie europee, aiutato dalla sua ottima conoscenza dell’inglese e del francese. Egli trasse profitto soprattutto dal soggiorno a Londra, dove nel 1758 fu ascritto alla Royal Society come socio estero: come tale, nel 1776 sottoscrisse la candidatura di Antonio Maria Lorgna.
Nel 1757, alla morte di Giulio Pontedera, professore di botanica e prefetto dell’orto botanico di Padova, il M. si trovava ancora a Londra. Si affrettò quindi a pubblicare, dedicandola ai Riformatori dello Studio di Padova, la sua prima dissertazione scientifica intitolata Nova, ad praxim medicam praecipue utilissima, universae Botanices rudimenta(Padova 1757). In essa, pur riconoscendo di essersi applicato fino ad allora soprattutto alla letteratura, rivendicava il suo profondo interesse per la botanica, sottolineandone l’importanza per la pratica medica, oltre a segnalare certe sue ricerche astronomiche e idrostatiche compiute privatamente. Fu così che, grazie anche all’autorevole appoggio di Marco Foscarini, procuratore di S. Marco e poi doge nel 1762, il M. fu preferito a numerosi aspiranti e in particolare a Pietro Arduino, che dopo la morte di Pontedera aveva svolto le funzioni di supplente con il titolo di custode. Con ducale del 24 genn. 1760 il M. fu nominato professore di botanica e prefetto dell’orto botanico dello Studio di Padova con lo stipendio di 400 fiorini all’anno.
D. Cotugno, Iter Italicum anni MDCCLXV, a cura di L. Belloni, Milano 1960, pp. 65, 70, 72; 

PALLAVICINO (Pallavicini), Gian Luca

LONGO, Alfonso

(Pescate LC 1738 - Milano 1804) religioso

(...)
Dell'estate 1763 è anche la prima prova letteraria nota, la descrizione di un viaggio nei baliaggi italiani dei Cantoni svizzeri compiuto in compagnia di Giacomo Lecchi; la curiosità per leggi, ordinamenti e costumi dei luoghi, l'alternanza tra toni ironici e sentimentali (come nei riferimenti all'"adorabile Verri" e al "carissimo Beccaria"), la passione umanitaria, laica e civile, evidente nella riprovazione del numero eccessivo di chiese nel Comasco o nelle espressioni di orrore di fronte a un episodio di tortura, riportano al nascente illuminismo milanese e apparentano la descrizione alle successive lettere romane.
(...)

A Roma egli soggiornò dall'ottobre 1765 al luglio 1767, nella vana ricerca di un beneficio o incarico. Le ventitré lunghe missive in francese agli amici milanesi sono un vivacissimo reportage su una società ecclesiastica e laica al tempo stesso corrotta ("le bordel du genre humain", esclamava il 2 ag. 1766: Ed. naz.… di C. Beccaria, IV, p. 362) e dominata da pregiudizi e da un gretto conservatorismo. Esempio dell'ironica compunzione del L. è un commento sulla moltitudine di chiese e conventi a Roma: "Il est vrai que la campagne est deserte, que sa sterilité rend l'air en été très malsain, qu'on manque absolument de cultivateurs, de marchands etc.; mais il est bien plus prudent de peupler le ciel que ce grain de sable où nous sommes autant de passagers" (ibid., p. 137). Tanti gli accenni alla debolezza della carne: "les Romaines sont plus chastes de corps qu'on ne le pense, quoiqu'il n'y doive avoir point de femmes au monde, hors les victimes de la jalouse brutalité d'un sultain, qui aient des desirs si vifs. Mais par bonheur les sentimens de religion, dont l'impression se repete si souvent, les empechent de réaliser ce qu'elles ne peuvent pas s'empecher de souhaiter" (ibid., p. 247).
(...)
Un soggiorno a Vienna tra il luglio e il novembre 1774 gli fruttò l'amicizia e la stima del Kaunitz e il titolo di sovrintendente alle scuole minori e ai collegi, con uno stipendio di 1800 lire annue, che aggiunse agli altri emolumenti. Tra queste entrate e quelle private (valutate a 2200 lire annue), il L. godeva ormai di una certa agiatezza: "Da povero uomo, si è reso ormai comodo colla sua carrozza" commentava il solito P. Verri (27 nov. 1776, ibid., VIII, p. 210). La contropartita era un crescente impegno nel pubblico servizio. Membro della Società patriottica istituita nel 1776, nel 1782 divenne primo bibliotecario della Braidense; lo stipendio di 3000 lire annue (poi 5000) sostituì quello di docente, cessato con l'abolizione della cattedra di pubblica economia.

Arch. Verri, cartt. 281 (parte inedita del carteggio tra i Verri con notizie sul L.), 273 (lettere di L. Lambertenghi a P. Verri sul soggiorno a Vienna nel 1784); Lecco, Arch. Plebano, Registro di battesimo 1691-1745, p. 216 (per la data di nascita); Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 284 (corrispondenza con la corte viennese); Aix-en-Provence, Musée Louis Arbaud, Correspondance du marquis de Mirabeau, regg. 19-22 (lettere di Mirabeau al L.);
C. Capra - F. Mena, Un viaggio nei baliaggi italiani nell'"insipida descrizione" di A. L. (1763), in Arch. stor. ticinese, XXXVI (1999), 126, pp. 139-156 (la descrizione del viaggio in Svizzera)

LAZARA, Giovanni de





. - Nacque a Padova il 28 sett. 1744, primogenito di Niccolò e di Margherita Polcastro. La famiglia, tra le più cospicue della nobiltà cittadina, oltre a palazzi in città possedeva la contea di Palù. Nel 1768, quando la Repubblica di Venezia soppresse i conventi con meno di 10 religiosi, la famiglia ottenne la restituzione della chiesa, del convento e dei beni esistenti nella contea e ne lasciò la rendita alla popolazione e al curato.
Dopo la consueta educazione in famiglia, il L. frequentò il collegio dei gesuiti e successivamente le lezioni di filosofia scotistica nel convento del Santo, sotto il padre B. Perissuti. Socio dell'Accademia dei Ricovrati dal 28 giugno 1783, assistette a lezioni universitarie e agli incontri culturali del seminario. Una spiccata passione lo indusse a importanti acquisti di quadri e altri oggetti d'arte, profittando anche della soppressione del monastero benedettino di S. Giustina; la sua collezione di stampe, nel palazzo di famiglia a S. Francesco, arrivò a 2000 pezzi, con esemplari di A. Mantegna, Parmigianino, A. Pollaiolo.
Poco dopo iniziò una lunga serie di viaggi in città italiane, intrapresi per vedere i capolavori artistici e, all'occasione, conoscere artisti e uomini di cultura; ovunque andò "razzolando diplomi, carte, documenti […] ora divenuti più preziosi che mai, perché, manomessi […] ai dì nostri tanti archivi e biblioteche, perirono molti monumenti preziosissimi della gloria italiana, e andarono a finire in paesi lontani" (Sagredo, p. 62). A Roma, quasi smarrito dal profluvio di opere d'arte, divenne amico di A. Canova; a Ercolano e Pompei seguì i lavori di scavo con F. Galiani; a Firenze incontrò il marchese F. Manfredini, precettore dei figli di Leopoldo di Toscana e appassionato, come lui, di calcografia; a Pisa e Siena entrò in rapporti con artisti, letterati, collezionisti e critici d'arte (A. Fabroni, F. Gori Gandellini, G. Ciaccheri). Fu poi in città del Nord: l'epistolario testimonia fecondi rapporti culturali con M. Cesarotti, S. Stratico, A. Fortis, G. Bossi, Canova, S. Bettinelli.
Dopo l'ascrizione, nell'aprile del 1783, all'Ordine dei cavalieri di Malta, il 22 ott. 1789 partì per Malta; dove il 1° dicembre fu ufficialmente aggregato all'Ordine e, sino al settembre 1790, prestò servizio sulla fregata "S. Elisabetta".
Rientrato a Padova, fu spinto dal fratello Gerolamo (nel 1785 iscritto, con alcuni intellettuali ed esponenti della nobiltà, alla loggia massonica disciolta dal governo) a partecipare alla vita politica locale: dal 28 dic. 1791 sino al dicembre 1793 fu nel Consiglio dei sedici, sorta di giunta esecutiva eletta ogni anno dal Consiglio maggiore, in cui sedevano tutti i nobili ascritti. Ma più che agli affari cittadini, gli unici che la Repubblica di Venezia lasciava alla nobiltà di Terraferma, si dedicò ai prediletti studi di storia dell'arte. La sua ricca biblioteca si aprì agli uomini colti del Veneto: J. Morelli, bibliografo e custode della Biblioteca Marciana di Venezia; Cesarotti, docente di greco ed ebraico all'università; G. Toaldo, docente di astronomia; C. Sibiliato, letterato, poeta, custode della biblioteca del Seminario, insegnante di lettere latine; Stratico, docente di medicina, matematica e fisica; Fortis, celebre naturalista; G.B. Belzoni, archeologo e viaggiatore; B. Gamba, editore e scrittore.
Aiutò P. Brandolese nella compilazione della guida di Padova (Pitture, sculture, architetture della città di Padova, Padova 1795), L. Cicognara per le Memorie spettanti alla storia della calcografia (Prato 1833; alle pp. 10, 26, 68 i cenni di ringraziamento di Cicognara) e L. Lanzi per la Storia pittorica della Italia (ed. definitiva, Bassano 1809): Lanzi, venuto appositamente a Padova a raccogliere notizie sui pittori cittadini, dedicò la sua opera esplicitamente al L., andato a Bassano dall'editore Remondini a correggere le bozze.
Nel 1793 gli Inquisitori di Stato lo nominarono ispettore e sovrintendente alle più celebri pitture esistenti a Padova e nel suo circondario, carica non solo onorifica che conservò sino alla caduta della Repubblica. Tra il 1793 e il 1794, accompagnato da Brandolese, visitò accuratamente chiese, palazzi, case private e prese nota di tutte le pitture di pregio esistenti nella provincia, per sottrarle a degrado e dispersione: di esse, come pure di tanti altri preziosi oggetti che collezionò insieme con le predilette stampe, tracciò preziose schede storiche.
Mentre si dedicava allo studio e alla cura del patrimonio artistico di Padova, dalla Francia cominciarono a filtrare le idee di "liberté, égalité, fraternité"; a Padova i ceti popolari restarono fedeli alla Repubblica di Venezia, ma la nobiltà, tradizionalmente ostile al governo marciano, si mostrò sensibile, almeno in alcuni esponenti, a qualche velleità di rinnovamento e mutamento politico-sociale, sia pure di segno molto moderato. Gerolamo Lazara aderì anche alla seconda loggia massonica, scoperta nel 1792. Se l'Università e il seminario rimasero per lo più fedeli a posizioni tradizionalistiche, sul piano ideologico-culturale e su quello politico, intellettuali e nobili "democratici", ovvero simpatizzanti per le "massime francesi", si radunarono tra il 1796 e il 1797 nel salotto della contessa Arpalice Papafava; in questo ritrovo, cui non mancarono mai il L. e il fratello, convenivano tra gli altri l'abate Alvise Savonarola, già in contatto con gli emissari di Napoleone Bonaparte, G. Greatti, bibliotecario dell'Università, G. Polcastro, nobile e deputato della città, G. Da Rio, G. Dottori e A. Meneghelli. L'abate G. Gennari, attento cronista della vita cittadina e alfiere delle posizioni più conservatrici, definì questo salotto addirittura "unione dei Giacobini", ma in realtà le sue posizioni politiche, per quanto è dato sapere, non andarono al di là di generiche aspirazioni umanitarie e di moderate riforme, anche se non mancarono aperti riferimenti, talvolta accompagnati da auspici non dissimulati, ai successi delle armate di Bonaparte in Italia. Il L. fu tra i più moderati dell'esiguo nucleo di "democratici" patavini, anche se nel luglio 1796, in una lettera ad A. Miari (conservata nel fondo Lettere dell'Archivio de Lazara a Lendinara, cit. da Rigobello), si sbilanciò parlando apertamente di un'"ora della rigenerazione […] ormai prossima". Il 23 apr. 1797 il generale G. Lahoz occupò Vicenza e con un proclama invitò i Padovani a destituire i rettori veneziani; il 28 un gruppo di "democratici", guidato da Savonarola, accolse festosamente le truppe francesi e giurò fedeltà alla Repubblica francese: tra i primi a prestare giuramento e a ricevere in casa Lahoz furono i due fratelli Lazara. Contemporaneamente si insediò la nuova Municipalità democratica, di cui facevano parte quasi tutti i "democratici" del salotto di Arpalice Papafava. Il giorno successivo, la neonata Municipalità incaricò il L., Polcastro e l'abate Cesarotti di recarsi a incontrare Bonaparte, reduce da Leoben (dove aveva firmato i preliminari, a loro ignoti, della pace con l'Austria), per "manifestargli il pensiero devoto e i supplici voti di Padova".
L'incontro avvenne a Treviso: Bonaparte ebbe parole di elogio per Cesarotti, di cui ammirava le traduzioni di Ossian, e annunciò l'imminente fine politica delle Repubblica di Venezia, che sarebbe avvenuta il 12 maggio. La vita della neonata Municipalità di Padova fu breve, ma agitata e foriera di cocenti delusioni per i "democratici"; per ingraziarsi il popolo furono aboliti alcuni dazi sui generi di consumo e abbassati i calmieri di prima necessità, ma d'altro lato, sotto gli ordini imperiosi delle forze di occupazione francesi, vennero imposti onerosi prestiti forzosi e decime; il 2 maggio arrivò a Padova Bonaparte, che nella sala della Ragione proclamò che "il veneto leone non rugge più": scarsa l'eco di questo fulmineo soggiorno del "liberatore dell'Italia", enorme invece quella del saccheggio del Monte di pietà, avvenuto due giorni dopo (il 16 maggio Bonaparte tentò di recuperare credito intimando un processo ai soldati responsabili). Deluso da questo imprevisto corso della "democratizzazione", Gerolamo Lazara si dimise dalla Municipalità (5 maggio 1797); gli subentrò il L., che sperava di contribuire a un corso meno rovinoso dell'auspicata "rigenerazione": seguì con impegno la costituzione della guardia civica, un corpo di 400 volontari che, a partire dal 22 maggio, cercò di mantenere l'ordine pubblico in città. In quei giorni, per ordine del commissario in capo dell'armata d'Italia, K.L. Haller, si procedette allo spoglio degli oggetti preziosi e delle opere d'arte delle chiese del Carmine, di S. Giustina, del Santo, del duomo; il 9 maggio il L., insieme con Polcastro, partì per Milano, per chiedere al Bonaparte la restituzione di una parte dei tesori depredati, in cambio dell'impegno a mantenere la divisione francese di stanza a Padova; appena arrivati a Milano, nella notte del 12 maggio 1797, vennero a sapere dell'abdicazione del Maggior Consiglio e quindi della fine della Repubblica di Venezia; il giorno dopo incontrarono Bonaparte, ottenendo "belle parole, ma niente di più".
Il 15 maggio la Municipalità di Padova incaricò il L., Polcastro, Savonarola e un altro cittadino di partecipare al congresso di Milano per la progettata unione alla Repubblica Cisalpina: la delegazione doveva anche ottenere un freno alle ruberie e requisizioni dei commissari francesi e significare agli altri "democratici" convenuti l'aperto rifiuto di collaborare e di sottoscrivere una qualche forma di alleanza con la neonata Municipalità democratica di Venezia.
Il congresso di Milano cessò il 31 maggio senza determinazioni conclusive e l'adesione alla Cisalpina sfumò; di ritorno a Padova il L. e Polcastro accettarono dal generale G. Brune l'incarico di organizzare un governo rappresentativo del dipartimento padovano: nacque così il Governo centrale del Padovano e Polesine di Adria e Rovigo (14 luglio 1797), peraltro subordinato alla decisiva volontà del comandante militare francese.
La situazione di Padova in questi giorni era disastrosa: requisizioni, prestiti forzosi, ruberie delle armate francesi prostravano l'economia cittadina; dilagava il malcontento popolare verso i Francesi e i municipalisti che, impotenti, ne secondavano le decisioni. Il 21 luglio il L., deluso dal nuovo corso "democratico" e sfiduciato delle prospettive, si dimise dalla Municipalità adducendo motivi di salute e si ritirò a Frassinelle, presso Arpalice Papafava; il 18 agosto, tornato in città, rifiutò di rappresentare (insieme con P. Polfranceschi) le Municipalità venete, riunite in congresso a Vicenza, presso il Direttorio esecutivo, a Milano e a Parigi: avrebbe dovuto richiedere l'annessione delle provincie venete alla Repubblica Cisalpina, ma si dichiarò incapace di trovare in sé "validi motivi per continuare a servire la Municipalità, i cui eccessi disgustano ogni cittadino e fan odiare un tal reggimento" (24 ag. 1797). A questa rinuncia contribuì forse la diffusione in città di un manifesto anonimo dove il suo nome compariva in una lista di municipalisti, sovrastata da un corvo, una forca e dalla scritta: "questa è la fine dei bricconi" (Gennari, p. 1605).
A Padova proseguivano requisizioni e prelievi, a Campoformido si trattava sulle sorti del Veneto; il 30 settembre il L. fu inserito tra i 35 ostaggi richiesti perentoriamente dal generale Andrea Massena e inviati al quartier generale di Udine allo scopo di mantenere la calma in città, mentre maturavano le decisioni finali sulle sorti dello Stato veneto. Tornò a Padova il 15 ottobre, con l'incarico di curare la soppressione della scuola di carità, le cui rendite furono trasferite all'ospedale degli Infermi; il 17 ott. 1797 il trattato di Campoformido sancì la cessione del Veneto all'Austria. Il 18 genn. 1798 gli Austriaci entrarono a Padova e si scatenò l'odio popolare verso gli ex municipalisti; il L., come altri nobili più moderati tra i "democratici", accettò di far parte del Consiglio generale della città, rimesso in funzione dal governo austriaco. Nel giugno 1798 raggiunse a Udine Arpalice Papafava: a Padova la reazione cominciò a colpire gli ex "democratici", e tra nobili e intellettuali fioccarono arresti, epurazioni, relegazioni.
Il L. non partecipò più alla vita pubblica: la sua corrispondenza lascia solo l'eco di un'attenta e sofferta osservazione delle tumultuose vicende politico-militari, dalla guerra degli Austro-Russi contro la Francia, l'occupazione francese di Padova (16 gennaio - 6 apr. 1801), la dominazione austriaca (1801-05), il napoleonico Regno d'Italia (1806-13), alla nuova dominazione austriaca (1813 e 1814-48).
Tra settembre e novembre 1801 il L. fu in Dalmazia per scavi archeologici: a Salona rinvenne un'importante stele funeraria greca di età imperiale, donata nel 1825 al Museo civico. In seguito trascorse alcuni mesi all'anno a Venezia tra librerie, biblioteche, chiese e palazzi, forniti delle predilette pitture. Senza preoccupazioni economiche, studiò, aiutò letterati e critici d'arte, continuò a schedare opere d'arte d'ogni sorta, viste direttamente o sulla base di descrizioni inviategli: rimane un volume miscellaneo di 365 pagine, ricco di preziose notizie sui pittori; partecipò assiduamente alla vita culturale della città (Accademia, Università, seminario) e, tra l'altro, donò pregevoli lapidi al Museo civico, aperto nel 1825 dall'abate G. Furlanetto.
Il L. morì a Padova l'11 febbr. 1833.
Fonti e Bibl.: Lendinara, Arch. de Lazara, Albero genealogico della famiglia LazaraElenco delle menzogne tirate contro la famiglia LazaraLettere 1783-1834; Arch. di Stato di Padova, Anagrafi(1816-1834), filza 9; Deputati e cancelleria, 1777-1806, n. 19; Estimo 1797, polizze democratiche dei padovani maggiori e minori, I-III, 3, n. 88; Tabelle mortuarie 1833, n. 65; Padova, Arch. dell'Acc. Patavina di scienze, lettere ed arti (già Acc. dei Ricovrati), Registro dei verbali, vol. C; Ibid., Biblioteca del Museo civico, Mss., 149, 3, XLV: Cronica de quattuor patriciis familiis: Docta, Papafavia, Lazara et Rustica;B.P., 4894: G. de Lazara, Miscellanea di scritti appartenenti alle belle arti contenente copie di manoscritti e documenti;B.P., 793-XII: I. de Conti, Genealogia familiae De Lazara PatavinaeB.P., 271-XII: G.A. Moschini, Orazione funebre pel cav. G. de L. letta nella parrocchiale di S. Francesco nel 1833B.P., 874-IV: G. Polcastro, Compendio storico degli avvenimenti accaduti nella città di Padova o ad essa appartenenti dal 1787 al 1794B.P., 1016: G. Polcastro, Memorie per servire alla vita civile e letteraria d'un padovano; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., 860: Annali di Padova dai primi atti della democrazia nell'aprile 1797 al 5 aprile 1801Annali della libertà padovana, ossia Raccolta compiuta di tutte le carte pubblicate in Padova dal giorno della sua libertà, disposte per ordine de' tempi, a spese di P. Brandolese, Padova 1797, I-II,passim; G. Gennari, Notizie giornaliere di quanto avvenne specialmente a Padova dall'anno 1739 al 1790, a cura di Loredana Olivato, Cittadella 1982; Ruolo dei cavalieri…ricevuti nella veneranda lingua d'Italia della Sagra Religione Gerosolimitana e distinti nelli rispettivi priorati, Malta 1789; P. Brandolese, Pitture, sculture, architetture ed altre cose notabili di Padova nuovamente descritte, Padova 1795; Cittadini nobili che formano il Consiglio della città, Padova 1798; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1809 (cfr. ed. a cura di M. Capucci, Firenze 1968); L. Cicognara, Istoria della pittura, Prato 1823, V, p. 242; A. Meneghelli, Del conte G. De L. cavaliere gerosolimitano e de' suoi studi, Padova 1833; A. Sagredo, G. De L., in Giornale di belle arti e tecnologia, maggio 1833, pp. 59-66; L. Cicognara, Memorie spettanti alla storia della calcografica, Prato 1833, pp. 10, 26, 68; G. Polcastro, Brano delle memorie riguardanti una legazione del Municipio di Padova al Bonaparte nel 1797, Padova 1889; J. Toffanin, Il dominio austriaco in Padova dal 20 gennaio 1798 al 16 gennaio 1801, Padova 1901; A. Ongaro, La Municipalità a Padova nel 1797, Padova 1904; M. Borgherini, Il governo di Venezia in Padova nell'ultimo secolo della Repubblica (dal 1700 al 1797), Padova 1909; O. Ronchi, La serie inedita dei reggenti il Comune di Padova fra gli anni 1797-1852, in Bollettino del Museo civico di Padova, XV (1912), pp. 71-99; L. Lazzarini, Le origini del partito democratico a Padova fino alla Municipalità del 1797, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XXIII (1920), pp. 5-97; G. Monteleone, L'occupazione francese di Padova nel 1801 (16 gennaio - 6 aprile), in Bollettino del Museo civico di Padova, LI (1962), 1, pp. 137-171; 2, pp. 57-102; M.B. Rigobello, G. De L.: un nobile padovano tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, tesi di laurea, Univ. di Padova, facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1971-72; G. Silvano, Padova democratica (1797). Finanza pubblica e rivoluzione, Padova 1996, pp. 166, 184.

LANZI, Luigi Antonio





- Nacque a Montecchio (ora Treia), nel Maceratese, il 13 giugno 1732, secondogenito di Gaetano, medico, e di Bartolomea Firmani. La famiglia si trasferì in diverse località, tra le quali Moltolmo (Corridonia), paese della madre, che il L. considerò sua patria. Dal 1744 al 1749 studiò nel collegio dei gesuiti di Fermo, ricevendovi la tonsura il 27 maggio 1747. Il 23 ott. 1749 entrò nella Compagnia di Gesù a Roma e, dopo il noviziato, perfezionati gli studi di retorica con il padre R. Cunich (1751-52), insegnò materie umanistiche nei collegi di Sora (1752-54), Ascoli Piceno (1754-56), Viterbo (1756-57) e Siena (1757-59). Compiuti gli studi di filosofia e di teologia al Collegio romano (1759-63), dopo un anno di insegnamento nel collegio di Fabriano e conseguita la seconda probazione il 15 ag. 1765, si stabilì - e vi rimase fino al 1772 - nella casa professa di S. Andrea al Quirinale come insegnante di retorica. Il 28 ott. 1761 era stato ordinato sacerdote.
Pubblicò allora i cinque sonetti del ciclo Le lodi della s. teologia, ispirati alla Divina Commedia (Foligno 1762), l'oratorio Il trasporto dell'arca in Sion (Roma 1762) con il nome arcadico di Argilio Celerio, traduzioni da Catullo e Teocrito (edite inOpere postume, I-II, Firenze 1817), e iniziò la preparazione del testo greco di Esiodo I lavori e le giornate (Firenze 1808).
Scrisse anche epigrafi e liriche latine poi raccolte in Inscriptionum et carminum libri tres (Florentiae 1807). Nel vivace ambiente culturale romano dovette conoscere le idee e le opere di A.R. Mengs e J.J. Winckelmann, teorici del neoclassicismo, fu iniziato all'epigrafia classica da S. Morcelli e introdotto, grazie al padre R. Boscovich, alle collezioni private romane di antichità.
Si trovava a Siena per motivi di salute quando nel 1773 fu soppressa la Compagnia di Gesù, e per interessamento di monsignor A. Fabroni, incontrato negli anni romani, il 17 apr. 1775 divenne aiuto custode e antiquario del Gabinetto delle gemme e medaglie nella Galleria fiorentina, dove curò il riordino dell'importante collezione di bronzi, allestiti nelle sale dei bronzi antichi (19 apr. 1777) e rinascimentali (24 luglio 1778), e la catalogazione delle ceramiche antiche (1777). Al ritorno da un soggiorno di studio a Roma, tra l'autunno del 1778 e la fine del 1779, dove conobbe E.Q. Visconti, illustratore del Museo Pio Clementino, il L. fu incaricato di redigere, in luogo del direttore, l'annuale relazione programmatica delle attività generali della Galleria (27 genn. 1780: Firenze, Biblioteca degli Uffizi, Mss., 38), segno del crescente prestigio presso il governo, culminato nella nomina a reale antiquario (8 febbr. 1790).
Nel 1780 nella Galleria furono avviati sistematici riordinamenti, acquisizioni e trasformazioni strutturali (nuovo scalone di accesso), affidati a una commissione composta dal direttore G. Bencivenni Pelli, dallo stesso L. e da F. Piombanti, segretario delle Reali Fabbriche, al fine di renderla una moderna istituzione di pubblica utilità, secondo gli auspici del granduca Pietro Leopoldo, di cui il L. si fece assertore. La guida divulgativa La Real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata… (in Giornale dei letterati [Pisa], XLVII [1782], pp. 3-212; ristampa anastatica Firenze 1982) e il saggio Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi e vari suoi stili (Roma 1785, in inglese; e, ampliato, in italiano in appendice alSaggio del 1789) rientrano in questo programma educativo. Vi è pregevole la trattazione dell'arte romana e soprattutto etrusca, fondata sullo studio diretto dei monumenti della raccolta granducale, che il L. contribuì ad ampliare (collezione Bucelli di Montepulciano).
A frequenti visite agli scavi e alle collezioni di antichità del Granducato (1777 e 1779) seguirono viaggi: nel 1782 in Romagna, a Bologna e a Venezia; nel 1783 (5 luglio - 11 novembre) ad Arezzo e Sansepolcro, Umbria, Marche, Rimini, Savignano e, fra 1784 e 1790, un nuovo soggiorno a Roma per la pubblicazione dell'importante Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d'Italia per servire alla storia de' popoli, delle lingue e delle belle arti (I-III, Roma 1789).
Al L. si riconosce l'identificazione di alcune lettere dell'alfabeto etrusco, di cui intuì la derivazione da quello greco, e una svolta negli studi di etruscologia fondata sulla riscoperta delle fonti letterarie e su un'interpretazione rigorosa delle iscrizioni, dello stile e dell'iconografia dei manufatti. Nel saggio De' vasi antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi…(in Novelle di letteratura, scienze, arti e commercio [Napoli], 27 ag. 1801, pp. 1-233) dimostrò la derivazione anche dell'arte etrusca da quella greca.
In quegli anni il L. ebbe occasione di coltivare un ulteriore interesse, che concretò nella fortunata pubblicazione La storia pittorica della Italia inferiore… (Firenze 1792), sulla pittura fiorentina, senese, romana e napoletana, per il cui ampliamento intraprese un nuovo viaggio, nell'estate e autunno 1793, nella Repubblica veneta (soprattutto a Padova e Venezia, dove era già stato nell'inverno 1792), nei Ducati di Milano, Parma, Mantova, Modena e infine in Piemonte e nella Repubblica di Genova (questi ultimi rivisitati l'anno successivo). Cure termali ad Abano per i postumi di un colpo apoplettico (novembre 1793) favorirono un nuovo soggiorno in Veneto (primavera-estate 1794); dalla primavera 1795 il L. fu a Bassano, ospite di B. Gamba, per attendere alla pubblicazione presso Remondini della Storia pittorica della Italia(Bassano 1795-96, in tre tomi), per la quale si avvalse della collaborazione di G. De Lazara e di molti corrispondenti per gli aggiornamenti bibliografici.
Superando la storiografia per medaglioni biografici, dominata dal provincialismo, organizzò l'opera, pregevole anche sotto il profilo letterario, per "scuole" pittoriche regionali, inaugurando un nuovo disegno storico dell'arte italiana. Anche se legato ai canoni estetici del classicismo, rivalutò i primitivi come momento iniziale di una storia unitaria, culminata nel Rinascimento e giunta fino ai suoi giorni. Al compendio esaustivo della letteratura artistica edita e inedita unì la visione diretta delle opere (a eccezione di quelle nel Regno di Napoli), che permise verifiche e rettifiche importanti; perciò l'opera è ancora oggi indispensabile fonte per documentare la situazione dell'arte italiana prima delle dispersioni napoleoniche. Le vanno affiancati in questa funzione i taccuini di viaggio, oggetto di edizioni anche recenti: Viaggio del 1793 pel Genovesato e il Piemontese, a cura di G.C. Sciolla, Treviso 1984; Viaggio nel Veneto, a cura di D. Levi, Firenze s.d. [ma 1989]; Il taccuino lombardo, a cura di P. Pastres, Udine 2000; Taccuino di Roma e di Toscana (1778-1789 circa), a cura di D. Levi, Pisa 2001; Viaggio del 1783 per la Toscana superiore, per l'Umbria, per la Marca, per la Romagna, a cura di C. Costanzi, Venezia 2003 (alle pp. XIII-XLII saggi di C. Di Benedetto, L. Bartolucci, P. Bocci sui mss. degli Uffizi e sul L. antiquario; e una bibliografia, alle pp. 417-434).
Trattenuto in Veneto dagli sconvolgimenti della campagna d'Italia dell'esercito francese comandato da Napoleone Bonaparte, prima a Treviso e poi a Udine (dicembre 1797) presso il collegio dei barnabiti e in casa del canonico C. Belgrado, rientrò definitivamente a Firenze nel novembre 1801, ottenendo dai nuovi governi la reintegrazione nell'antico ufficio e, nel 1808, la presidenza della sezione della Crusca nell'Accademia Fiorentina. Nonostante gravi disturbi alla vista, si applicò alla revisione della Storia pittorica, la cui edizione definitiva in sei volumi e indici uscì nel 1809, sempre presso Remondini.
Il L. fu anche autore di pregevoli scritti religiosi (Opuscoli spirituali, I-II, Roma 1809) e avrebbe desiderato rientrare nella Compagnia di Gesù, restaurata a Napoli nel 1804.
Morì a Firenze il 31 marzo 1810 e fu tumulato in S. Croce.
Fonti e Bibl.: I manoscritti e il carteggio del L. sono conservati a Macerata, Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti (cfr.Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, C/1, a cura di A. Adversi, Firenze 1981, pp. 224-229); Corridonia (Macerata), Archivio Lanzi: A. Lanzi - S. Lanzi, Libro di cose memorabili…, 1749-91; Firenze, Biblioteca degli Uffizi, Mss., 27/I-45, 105-107/II, 263, 359; Catalogus brevis provinciae Romanae Societatis Iesu, Romae 1761, pp. 12, 81; ibid. 1770, pp. 16, 72; O. Boni, Elogio dell'abate don L. L. tratto dalle di lui opere, Firenze 1814; M. Boni, Saggio di studi del p. L. L., Venezia 1815; F. Benigni, Sulla vera patria dello abate d. L.A. L., Fuligno 1824; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, VIII, Venezia 1841, pp. 448-455 (A. Meneghelli); U. Segré, L. L. e le sue opere, Assisi 1904; M. Capucci, Nota alla "Storia pittorica", in L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, III, Firenze 1974, pp. 465-547 (con bibliografia, pp. 523-547); M. Cristofani, L. L. antiquario, in Uffizi: quattro secoli di una galleria. Atti del Convegno… 1982, II, Firenze 1985, pp. 355-366; M. Gregori, L. L. e il riordinamento della Galleriaibid., pp. 367-393; M. Capucci, Il carteggio del L.ibid., pp. 395-402;Storia della letteratura italiana (Salerno), VI, Il Settecento, Roma 1998, pp. 419-421, 440; P. Barocchi, Sulla edizione lanziana della "Storia pittorica della Italia" del 1795-1796, in Giornate di studio in ricordo di Giovanni Previtali, a cura di F. Caglioti, Pisa 2000, pp. 293-319; Id., Sulla edizione del 1809 della "Storia pittorica della Italia" di L. L., in Saggi e memorie di storia dell'arte, XXV (2001), pp. 297-307; C. Gauna, La "Storia pittorica" di L. Lanzi. Arti, storia, musei nel Settecento, Firenze 2003 (bibliografia); C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, IV, Bruxelles-Paris 1893, coll. 1500 s.; IX, ibid. 1900, coll. 571 s.; Suppl., Toulouse 1911, col. 1118; L. Ferrari, Onomasticon, Milano 1947, p. 401; Enc. Italiana, XX, p. 515 (G. Natali); Enc. cattolica, VII, coll. 899 s. (G. Natali); M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, Boston 1962, III, pp. 1923 s.; VI, p. 155; S. Parodi, Catalogo degli accademici [della Crusca] dalla fondazione, Firenze 1983, p. 243; L. Polgár, Bibliographie sur l'histoire de la Compagnie de Jésus, III, 2, Roma 1990, pp. 377 s.; The Dictionary of art, XVIII, New York 1996, pp. 755 s. (F. Bernabei); Ch.E. O'Neill - J.M. Domínguez, Diccionario histórico de la Compañía de Jesús, Roma-Madrid 2001, pp. 2280 s. (M. Zanfredini).

GUATTANI, Giuseppe Antonio







L'Autobiografia è stata più volte stampata. Si trova in D.E. Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite (1853), pp. 182-196:

Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite



. - Nacque a Roma il 18 sett. 1748, nella parrocchia di S. Giovanni dei Fiorentini, da Carlo, chirurgo e archiatra pontificio, e da Caterina Pagliarini, sorella dei tipografi Niccolò e Marco. Dopo aver seguito gli studi di grammatica, eloquenza e, sotto la guida di E.Q. Visconti, lingua e letteratura greca, fu avviato alla professione forense. Dopo studi di diritto alla Sapienza fece pratica presso il tribunale della Camera apostolica; fu quindi aiutante di studio presso un avvocato e poi uditore di casa Gentili. Ebbe però il sopravvento la passione per le arti e le lettere; abbandonò ben presto la toga per studiare e specializzarsi in topografia romana sotto la guida dell'archeologo O. Orlandi, bibliotecario dei principi Gabrielli, con il fine di fare da guida ai viaggiatori importanti che arrivavano a Roma. In seguito F. Piranesi, figlio di Giovan Battista, lo assunse come segretario "con largo stipendio" (Autobiografia, in Lezioni di storia, mitologia e costumi…, Roma 1838, p. XXIV), introducendolo nell'ambiente cosmopolita dei viaggiatori, dei collezionisti e degli eruditi che frequentavano il suo studio presso Trinità dei Monti.
Stanco di fare il "rovinambolo", il G. si dedicò a tempo pieno allo studio dell'antiquaria: prese a frequentare ipensionnaires dell'Accademia di Francia, con i quali intraprese un viaggio a Napoli, e a studiare disegno in un'accademia privata del nudo, diretta dallo scultore C. Pacetti. Nel 1782 dal matrimonio con Clementina Giovannini gli nacque la primogenita Angelica. L'anno seguente vedeva la luce la sua prima pubblicazione antiquaria, dal titolo Della gran cella soleare nelle Terme di Antonino Caracalla, edita dalla tipografia degli zii Pagliarini, che ricevette il plauso di E.Q. Visconti. Il G. vi avanzava l'ipotesi che il vasto ambiente termale fosse una sala di studio o di ricreazione e, nella premessa, affermava di aver voluto trattare l'argomento in italiano, invece che nel latino degli antiquari, per facilitarne la comprensione agli architetti, principali destinatari dello scritto.
Nel 1783 gli nacque una seconda figlia, Marianna. Poco dopo riuscì ad aggiudicarsi l'incarico di proseguire gli incompiuti giornali di antichità di J.J. Winckelmann, i Monumenti antichi inediti ovvero Notizie sulle antichità e belle arti di Roma, grazie probabilmente alla parentela con i Pagliarini, editori del periodico, che uscì dal 1784 al 1789.
Il mensile, poi raccolto in 6 tomi, illustrava i reperti degli scavi promossi da Pio VI e da privati nello Stato pontificio (Palestrina, Tivoli, Otricoli, Castelporziano, Civitavecchia), come pure antichità inedite appartenenti a collezionisti romani (il card. A. Albani, le famiglie Aldobrandini, Rondinini, Sampieri, Chigi, Altieri) e stranieri (T. Jenkins, J.N. de Azara e l'architetto L. Dufourny). Corredata di eleganti illustrazioni a stampa, l'opera presentava, oltre a oggetti che univano alla "vaghezza" il "merito dell'erudizione", anche piante di edifici antichi da poco dissotterrati. Ospitava inoltre contributi di autori come N. Martelli (la celebre lettera a S. Chigi sul restauro delle pitture antiche) o E.Q. Visconti, e interventi di eruditi stranieri che nelle intenzioni del G. avrebbero conferito al giornale un respiro internazionale tale da farlo figurare a pieno titolo tra i periodici più accreditati della repubblica delle lettere. Il suo approccio erudito-antiquario lo portava a privilegiare l'analisi iconografica su quella stilistica, e lo studio di simboli e attributi rispetto agli elementi formali. A questo proposito, sul piano dell'analisi stilistica di un monumento, il ricorso al parere dei "professori", ossia degli artisti, per avvalorare una determinata tesi, fu applicato qui dal G. per la prima volta, divenendo una costante dei suoi scritti successivi.
Rimasto vedovo, il G. si risposò con la cantante Marianna Bianchi, in arte Vinci, dalla quale ebbe alla fine del 1786 un figlio, Carlo; nello stesso anno ottenne la carica di assessore alla scultura. Conclusa la fatica dei Monumenti e forte del prestigio che gli aveva conferito, nel 1790 concorse, ma inutilmente, all'ambita carica di direttore antiquario del Museo Capitolino; deluso per la mancata nomina lasciò Roma per Napoli, dove la moglie aveva ottenuto alcune scritture teatrali e dove, nel 1791, gli nacque una figlia, Carolina. In seguito la famiglia si trasferì a Palermo e, nel 1792, a Bologna, dove il G. tornò a dedicarsi agli studi antiquari: qui pubblicò, nel 1795, due volumi illustrati di topografia romana dal titolo Roma antica descritta, dedicati al principe G. Lambertini, prima versione della più nota Roma descritta ed illustrata (1805). Sempre al seguito della moglie, dalla quale ebbe altri tre figli (Giuseppe, Clementina e Giovanni), fu a Madrid, poi per un breve periodo a Lisbona; infine si stabilì a Londra per quasi tre anni, "lucrando assai bene non già con l'antiquaria […] ma con lezioni di musica vocale e di lingue" (Autobiografia, p. XXXI). Un'arte, quella del canto e del comporre musica, che aveva coltivato da quando aveva preso in moglie la Vinci, che affermava essere stata sua allieva.
Intorno al 1800, mentre la moglie si trovava a Lisbona, dove aveva ottenuto una nuova scrittura teatrale, il G. lasciò l'Inghilterra e tentò di raggiungere San Pietroburgo, ma scoraggiato dal clima ripiegò verso la Francia. Si fermò a Parigi, dove si trovava una nutrita colonia di esuli della Repubblica Romana con, tra gli altri, F. Piranesi, che vi aveva trasferito la calcografia paterna, e il Visconti, conservatore delle antichità del Louvre.
Qui il G. riprese la sua collaborazione con Piranesi, scrivendo il testo per la raccolta di incisioni Antiquités de la Grande-Grèce, aujourd'hui Royaume de Naples (Paris 1804), su disegni di Giovan Battista Piranesi: inoltre, per un periodo, fece parte della direzione artistica della Salle Favart, sede del Théâtre-Italien.
Nel 1804, su invito del segretario di Stato E. Consalvi, tornò a Roma per riprendere la pubblicazione dei suoi giornali di antichità in cambio di 12 scudi al mese e del privilegio di depositare nella calcografia camerale 50 esemplari di tutto ciò che avesse pubblicato. Nel 1805 uscì in 2 tomi l'edizione riveduta e ampliata della Roma antica, col titolo di Roma descritta ed illustrata.
Si trattava di una guida di Roma corredata da stampe raffiguranti "non capricciose vedute" ma "piante, elevazioni, spaccati", al fine di offrire al lettore-turista una restituzione filologica dei monumenti antichi; una guida concepita sulla base degli itinerari seguiti dal G. al tempo in cui svolgeva la professione di cicerone. Sempre nel 1805 licenziò il tomo VII dei Monumenti antichi inediti, che forniva notizie sulle scoperte archeologiche durante il pontificato di Pio VII, e in particolare sui rinvenimenti dello scavo camerale di Ostia e di quello di Albano. A partire dal 1806 diede vita, grazie a un finanziamento pontificio, alle Memorie enciclopediche romane sulle belle arti, antichità…, mensile che raccoglieva, accanto ad aggiornamenti sulle scoperte archeologiche, notizie sulla coeva produzione artistica, ponendosi come ideale prosecuzione di due fortunati - anche se di breve durata - periodici settecenteschi dedicati all'arte contemporanea: le Memorie per le belle arti (1785-88) e il Giornale delle belle arti (1784-88). Il giornale, che tranne rare eccezioni fu tutto di mano del G., era espressione della volontà di reazione al trauma del biennio repubblicano del 1798-99 che improntava la politica culturale di Pio VII, in particolare attraverso campagne di scavo, restauro di monumenti, acquisti di antichità per i pubblici musei; oltre a celebrare l'avveduta politica culturale del pontefice, cui era solennemente dedicato, intendeva rilanciare energicamente la produzione artistica romana contemporanea, con l'obiettivo di "servire principalmente al commercio delle belle arti" (t. I, p. 1). Il destinatario era pertanto un pubblico di potenziali acquirenti, che veniva informato delle nuove opere degli artisti italiani e stranieri attivi a Roma con dettagliate descrizioni, suggerite probabilmente dagli stessi artefici e talvolta accompagnate da stampe. Una prestigiosa vetrina pubblicitaria in cui comparivano dipinti, sculture, stampe, acquerelli, lavori di oreficeria realizzati, tra gli altri, da A. Canova, B. Thorvaldsen, G. Landi, V. Camuccini e in cui si riferiva sulle esposizioni degli artisti dell'Accademia di Francia e di quella di S. Luca, delle nuove pubblicazioni d'arte e di antiquaria, della vita culturale delle città italiane ed estere, quali esposizioni, grandi committenze pubbliche, spettacoli teatrali. Nel 1809, tuttavia, a metà del tomo IV, il G. dichiarò di voler interrompere la pubblicazione, constatando sia una forte contrazione della committenza, quindi della produzione artistica - probabilmente anche per l'inquieto clima politico generatosi con l'occupazione francese di Roma del 1808 - sia il sorgere di nuovi periodici di belle arti che avrebbero finito con il rendere superflue le Memorie (forse le cronache artistiche dei nuovi giornali come la Gazzetta romana, il Giornale del Campidoglio, il Giornale romano). Non è escluso, però, che prendesse la decisione principalmente per il fastidio verso critiche che gli erano state mosse: "Sono stato rimproverato di lodatore soverchio, e stimolato più volte a sferzare le opere". Respinse le accuse affermando: "Ligio sempre al mio scopo d'incoraggiare e giovare, ho toccato con mano di aver giovato e incoraggiato più volte" (IV, p. 97). Tuttavia, nella parte restante del IV tomo continuarono a comparire, seppur sporadicamente, articoli di arte contemporanea, per l'eccellenza, affermò, delle opere realizzate nel frattempo.
Che il G. non avesse velleità di critico d'arte - e, pertanto, di "sferzare" chicchessia - si deduce dalla presenza nelleMemorie di tutti i principali protagonisti della scena artistica romana, dai nuovi talenti ai professionisti affermati, aderenti anche a diversi orientamenti stilistici, come nel caso di Camuccini e Landi. La sua estraneità a qualunque spirito di partigianeria artistica, a meno dell'incondizionata adesione ai principî cardine dell'estetica classicista e canoviana (l'imitazione dell'antico, il primato della scultura e della pittura di storia), diviene, nell'Autobiografia, vero e proprio motivo d'orgoglio: riferendosi a un suo discorso rilasciato nel 1810 per la neonata Accademia italiana di scienze, lettere ed arti (istituzione napoleonica di cui era socio dal 1808), intitolato Sullo stato attuale delle belle arti in Italia, e particolarmente in Roma (in Atti dell'Accademia italiana di scienze, lettere ed arti, I [1810], pp. 269-292), si vantò d'essere riuscito "taumaturgicamente" a trarsi da quell'"imbroglio" e di aver dato "a ciascuno il suo" (Autobiografia, p. XXXVIII). Interamente incentrato sulla scena artistica romana e sui suoi protagonisti, il discorso si configura come una sintesi di quanto era apparso fino ad allora nelle Memorie enciclopediche con, in più, il chiaro intento di celebrare il primato di Roma in Europa come indiscussa "Maestra del Disegno".
Nel 1808, insieme con l'amico archeologo F.A. Visconti, diede alle stampe a Roma un lussuoso catalogo del Museo Chiaramonti aggiunto al Pio Clementino (2ª ed., Milano 1820), con 44 tavole illustrate dei monumenti più notevoli acquisiti da Pio VII per il nuovo museo vaticano, classificati per soggetto - sempre al centro dell'interesse dei due antiquari - con il ricorso, per l'analisi dello stile e degli eventuali restauri storici, al parere di Canova e dello scultore-restauratore A. D'Este.
L'avvento del regime napoleonico risultò particolarmente propizio al Guattani. Nell'ottobre del 1810 fu eletto segretario perpetuo dell'Accademia romana di archeologia, ripristinata grazie al commissario, barone J.-M. de Gérando, del quale godeva la stima incondizionata. Entrò a far parte, nello stesso anno, della Commission des monuments et des bâtiments civils dans le Departement de Rome, preposta alla tutela dei monumenti di Roma e, grazie al de Gérando, ebbe una sovvenzione per il quinto tomo delle Memorie enciclopediche, opportunamente dedicato al "Genio sovrumano e benefico" di Napoleone (p. 9), vero e proprio insieme di reportages degli interventi di scavo e restauro promossi dall'imperatore a Roma.
Nel 1812, col probabile appoggio del Canova, divenne segretario e docente nell'Accademia di S. Luca, appena riformata da Napoleone.
Oltre a compiti di carattere amministrativo il G. assunse anche il ruolo di portavoce ufficiale dell'istituzione, attraverso le prolusioni per le solenni premiazioni dei concorsi o per l'apertura dell'anno scolastico. Tenne un insegnamento di storia, geografia, mitologia e costumi dei popoli dell'antichità, per offrire una base di cultura classica ai futuri pittori e scultori di storia: l'argomento delle lezioni si desume interamente da un manuale edito postumo a Roma in 3 volumi nel 1838 (Lezioni di storia, mitologia e costumi ad uso di coloro che si dedicano alle arti del disegno). Trattando i vari argomenti il G. si serviva di stampe di monumenti antichi per mostrare agli alunni "col fatto, o sia con gli esemplari alla mano la storia, la favola, ed i costumi" (come scrisse in una lettera al camerlengo, card. B. Pacca, pubblicata in A.M. Corbo, L'insegnamento artistico a Roma nei primi anni della Restaurazione, in Rass. degli Archivi di Stato, XXX [1970], p. 109). Sempre in età napoleonica, in polemica con un altro grande esponente dell'antiquaria romana, C. Fea, stampò una dissertazione che aveva tenuto nell'Accademia romana di archeologia (La difesa di Pompeo ossia Risposta di G.A. Guattani alle osservazioni dell'a. C. Fea intorno a quella celebre statua del palazzo Spada, Roma 1813). Fea aveva correttamente interpretato la statua come opera tardo romana con testa non pertinente, sfatando una secolare congettura - cui lo stesso G. dava credito - che la identificava con il simulacro di Pompeo, ai piedi del quale, secondo le fonti, Cesare era caduto pugnalato nella Curia. Contro la fredda analiticità delle osservazioni stilistiche di Fea, il G. reclamò appassionatamente i diritti della tradizione letteraria (in primis quella dello scultore cinquecentesco F. Vacca) adducendo anch'egli argomenti, peraltro assai deboli, di ordine stilistico per i quali si valse, come di consueto, del parere degli scultori, in questo caso i volenterosi V. Pacetti, F.M. Laboureur e C. Albacini, accademici di S. Luca, anch'essi vittime del fascino di una tradizione difficile da estirpare.
Intorno al 1815 il G. si cimentò nell'ambiziosa impresa editoriale de La pittura comparata nelle opere principali di tutte le scuole, pubblicazione in fascicoletti periodici raccolti in tomo nel 1816, che mettevano a confronto celebri quadri e affreschi di diverse epoche e scuole raffiguranti, in ogni singola distribuzione, lo stesso soggetto.
Commentando le tavole, incise a semplice contorno, il G. verificava se l'artista si fosse attenuto alle fonti letterarie o visive (i monumenti antichi) da cui era desunto il tema del dipinto, sempre rigorosamente di genere storico, e confrontava l'"invenzione" dell'opera con quelle di altri pittori sul medesimo soggetto, stilando implicitamente una graduatoria di merito tra quelli più filologicamente corretti. A ogni commento seguiva una sintetica biografia dell'artista, ritenuta dal G. di grande praticità perché avrebbe supplito alle "costose Vite del Vasari, del Baldinucci, della Felsina Pittrice ecc." (Autobiografia, p. XXXVIII).
Per l'intento divulgativo, il basso costo dei fascicoli e, soprattutto, la portata innovativa di questo inedito genere di letteratura artistica, confidava in un grande successo di pubblico; in realtà le 400 tavole previste inizialmente si ridussero a 72 (con un'aggiunta di 14 nel 1828) per la rinuncia dell'incisore S. Morelli a proseguire l'opera ma anche, come si evince da una nota rilasciata dall'autore a metà del tomo, per l'ostilità degli artisti, che contestavano la validità dei commenti stilistici di chi, come il G., non era pittore. Egli replicò di essersi valso dei giudizi di "biografi […] che furono Pittori e Scrittori; o di letterati che scrissero magistralmente intorno alle arti, come il Winckelmann e il Lanzi", e che sua intenzione era semplicemente "spiegare il figurato ne' quadri; i quali il più delle volte non si trovano descritti abbastanza per bene intenderli" (La pittura comparata, p. 151).
Alla Restaurazione pontificia il G. fu confermato nelle cariche; nel 1817 e nel 1819 pubblicò i tomi VI e VII delle Memorie enciclopediche (redatti nel 1816 e nel 1817), recanti prevalentemente notizie sugli scavi a Roma e resoconti sulle adunanze dell'Accademia romana di archeologia. Nel 1820 fu incaricato di redigere il catalogo della Pinacoteca Vaticana (I più celebri quadri delle diverse scuole italiane riuniti nell'Appartamento Borgia del Vaticano, Roma 1820), con tavole, disegnate e incise da G. Craffonara, raffiguranti le opere restituite dalla Francia tra il 1816 e il 1817, dopo le spoliazioni napoleoniche, grazie alla missione di Canova.
Dal 1819 si dette prevalentemente agli studi antiquari, spesso in vista delle dissertazioni da tenere presso l'Accademia romana di archeologia, allora dominata dalle figure di Fea, G. Amati, L. Biondi, F. Cancellieri, F.A. Visconti: Spiegazione di un bassorilievo denominato I fanti scritti di Carrara (Roma 1819); Dissertazione sopra un antico elmo campano (ibid. 1820); la Lettera… sopra una statua di Pallade scoperta nella villa di Lucullo in Posillipo (ibid. 1821); La difesa della spelonca di Egeria nella valle della Caffarella (ibid. 1824), scritta per controbattere ancora una volta le tesi di Fea che, insensibile al fascino della leggenda, si rifiutava di identificare la grotta con il luogo in cui Numa Pompilio si intratteneva in colloqui con la ninfa Egeria.
Una polemica analoga a quella sollevata da La pittura comparata si ebbe con l'uscita, nel 1823, di un breve scritto del G. su un bozzetto del pittore G. Errante raffigurante la morte di Antigone, inserito da F. Cancellieri nella sua biografia dell'artista. Le lodi del G. alla qualità del dipinto e la sua appassionata apologia delle grandi composizioni di soggetto storico furono stigmatizzate da un ignoto (forse T. Minardi, firmatario all'epoca di una Proposta di riforma degli studi accademici di S. Luca) che, con lo pseudonimo di O. Franceschi, irrise, seppur bonariamente, le sue qualità di critico d'arte. Adottando il nome del fittizio A. Teodori cui Franceschi si rivolgeva, il G. replicò con tre interventi pubblicati dal Cancellieri in Ristampa di due lettere intorno ad un quadro di Antigone dipinto dal cav. Giuseppe Errante di Trapani del ch. sig. G.A. G. al ch. sig. ab. Francesco Cancellieri e di Odoardo Franceschi al sig. Alessandro Teodori con la risposta dello stesso A. Teodori al sig. O. Franceschi, Roma 1824.
In occasione della premiazione per il concorso dell'Accademia di S. Luca del 1824 il G. scrisse un poemetto in terzine dal tono lieve e scherzoso, il Parallelo di Roma antica e moderna in diversi usi e costumi, apologia della moderna Roma cristiana e della sua superiorità su quella pagana relativamente a usi e costumi. L'ultima sua fatica furono i Monumenti sabini, in 3 tomi (editi a Roma nel 1827, 1828, 1832), vera e propria guida storico-artistica e naturalistica della Sabina, contenente anche un Saggio comparativo per conoscere l'epoche degli edifici antichi tanto sacri che profani.
Il G. morì a Roma il 29 dic. 1830.
Fu membro dell'Arcadia, della Società degli antiquari di Londra, dell'Accademia Etrusca di Cortona e censore filologo nella Sapienza. Erede della tradizione antiquaria italiana settecentesca facente capo a F. Bianchini e S. Maffei, che ricercava nei monumenti, sulla base delle fonti letterarie, concrete "prove della storia", all'opposto del moderno metodo induttivo ed empirico di un conte A.-C.-Ph. di Caylus o di un Winckelmann, il G. fu un efficace e appassionato divulgatore di una materia solitamente appannaggio di una ristretta cerchia di eruditi, pronto a cogliere le esigenze di un pubblico di lettori che agli inizi dell'Ottocento si era fatto più vasto e desideroso di essere edotto o aggiornato sull'archeologia e sull'arte. Ad eccezione di scritti encomiastici dei contemporanei (S. Betti, P.E. Visconti), è assente a tutt'oggi un profilo storico-critico, anche se le sue opere (in primo luogo le Memorie enciclopediche) non hanno mancato di attirare in anni recenti l'attenzione di studiosi dell'arte e dell'archeologia dell'Ottocento.
Oltre a quelle menzionate, le sue pubblicazioni includono: Galleria del senatore Luciano Bonaparte, Roma 1808 (riedita dopo la Restaurazione, senza indicazione di luogo e data, col titolo Descrizione della galleria dei quadri del principe di Canino); Descrizione delle statue e busti antichi che si ammirano nel casino Marconi in Frascati (Roma 1808); I tre archi trionfali di Costantino, Severo, e Tito eseguiti in piccola proporzione con marmo e metalli dorati dalli signori Gioacchino, e Pietro Belli romani scultori in metallo (ibid. 1815); Pompa funebre per le solenni esequie di Maria Isabella di Braganza, regina delle Spagne e delle Indie (ibid. 1820); Paesaggi in tavola giudicati di Claudio Gelée (ibid. 1826); Lettera all'esimio architetto sig. Leone Dufourny sopra un'antica figulina (s.l. né d.); Descrizione degli oggetti d'arte esistenti nel palazzo di s.e. il sig. don Giovanni Torlonia, duca di Bracciano (s.l. né d.). Secondo l'Autobiografia il G. scrisse anche un'inedita descrizione dei monumenti di villa Borghese trasferiti in Francia.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia S. Andrea delle FratteBattesimi, IX, pp. 42, 53, 109;Parrocchia S. Lorenzo in LucinaStati delle anime, 1805, p. 28; Biblioteca apost. Vaticana, Autografi FerrajoliRaccolta Visconti, nn. 3471-3553; Codici Ferrajoli, 908, cc. 1-280; Arch. di Stato di Roma, Miscellanea famiglie, b. 89, f. 17;Camerale IIAccademie, b. 3, ff. 3, 6; Camerale IIAntichità e Belle Arti, b. 10, f. 257; Congregazione delBuon governo, s. III, bb. 126, 132; Consulta straordinaria per gli Stati Romani, cass. 22, 27, 35. Una ricca documentazione sull'attività del G. come segretario e docente è conservata in Roma nell'archivio dell'Accademia nazionale di S. Luca (si rimanda ai relativi inventari, alla voce Guattani).
M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 364 ss., 405; S. Betti,Notizie del prof. G. e de' cavalieri Laboureur, Scaccia e Manno, in Giornale arcadico, LI (1831), pp. 91-103; P.E. Visconti,Elogio di G.A. G., in Atti della Pontificia Accademia romana di archeologia, IV (1831), pp. 323-333; L'Album, III (1836), pp. 125 s.; S. Betti, in E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri…, I, Venezia 1834, pp. 278-280; D. Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 182-196 (ristampa dell'Autobiografia); G. Amati,Bibliografia romana. Notizie della vita e delle opere degli scrittori romani, Roma 1880, pp. 140-142 (altra ristampa dell'Autobiografia); O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, II, pp. 586 s., 632 s.; G. Cantino Wataghin, Archeologia e "archeologie". Il rapporto con l'antico fra mito, arte e ricerca, in Memoria dell'antico nell'arte italiana, Torino 1984, I, p. 216; P. Panza, Antichità e restauro nell'Italia del Settecento, Milano 1990, pp. 207-210; S. Susinno, La pittura a Roma nella prima metà dell'Ottocento, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 401, 405 s.; M.I. Palazzolo, I provvedimenti sull'editoria nel periodo napoleonico tra immobilismo e segnali di rinnovamento, inRoma moderna e contemporanea, II (1994), 1, pp. 170-172; R. Carloni, Per una ricostruzione della collezione dei dipinti di Luciano: acquisti, vendite e qualche nota sul mercato antiquario romano del primo Ottocento, in Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d'arte le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840), a cura di M. Natoli, Roma 1995, pp. 21 s.; L. Barroero, Giovanni Gherardo De Rossi biografo. Un esempio: la "Vita" di Gaetano Lapis, in Roma moderna e contemporanea, IV (1996), 3, pp. 678 s., 682, 685 s.; A. Cerutti Fusco, L'Accademia di S. Luca nell'età napoleonica: riforma dell'insegnamento, teoria e pratica dell'architettura, in Roma negli anni di influenza e dominio francese 1798-1814, a cura di P. Boutry - F. Pitocco - C.M. Travaglini, Napoli 2000, pp. 410-413; R.T. Ridley, The pope's archaeologist. The life and times of Carlo Fea, Roma 2000, pp. 158-162; M. Calzolari, Le commissioni preposte alla conservazione del patrimonio artistico e archeologico di Roma durante il periodo napoleonico (1809-1814). Nuove ricerche sui fondi documentari dell'Archivio di Stato di Roma, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell'età rivoluzionaria e napoleonica. A proposito del trattato di Tolentino, Atti … Tolentino … 1997, Roma 2000, pp. 535, 537, 546, 559; P.P. Racioppi, "Per bene inventare e schermirsi dalle altrui censure". G.A. G. e l'insegnamento di storia, mitologia e costumi all'Accademia di S. Luca (1812-1830), in Le "scuole mute" e le "scuole parlanti". Studi e documenti sull'Accademia di S. Luca nell'Ottocento, a cura di P. Picardi - P.P. Racioppi, Roma 2002, pp. 79-98.